Passa ai contenuti principali

Il processo

Gelmeroda III - L. Feininger
Qualcuno doveva aver diffamato Josef K. perché, senza che avesse fatto nulla di male, una mattina venne arrestato. La cuoca della signora Grubach, la sua padrona di casa, che ogni giorno verso le otto gli portava la colazione, quella volta non venne. Ciò non era mai accaduto. K. aspettò ancora un po', guardò dal suo cuscino la vecchia signora che abitava di fronte e che lo osservava con una curiosità del tutto insolita in lei, poi però, meravigliato e affamato a un tempo, suonò. Subito qualcuno bussò e entrò un uomo, che egli non aveva mai visto prima in quella casa.
(Giuseppe Landolfi Petrone e Maria Martorelli, Newton Compton Editori, 1989)

Uno dei romanzi più importanti di F. Kafka, “Il processo” segue le sofferte vicende di un impiegato di banca, Josef K., accusato un giorno di una colpa che mai conoscerà, come altrettanto oscura è, d'altra parte, l'organizzazione giudiziaria che vi sta dietro.


Sono innumerevoli i temi che possono essere carpiti da un'opera piena di significati reconditi, in un romanzo, che, alla resa dei conti, è un coacervo metaforico di criptica interpretazione come lo sono gli altri scritti dell'autore. Una composizione letteraria, dunque, che tutto esprime e nulla mostra per intero, solo frammentariamente, ed è compito del lettore decifrare i segni, gli indizi lasciati da Kafka all'interno, lasciandosi trasportare, alla fine, in un turbinio di angoscia e assurdità.
Innanzitutto è interessante notare come casualità iniziale non infici la necessità intrinseca negli sviluppi successivi: il fatto che l'arrivo dei misteriosi funzionari, di quelle guardie tanto anonime quanto abiette sia un evento del tutto contingente non implica affatto una contraddizione successiva, destrutturando l'impianto logico e necessario su cui si fonda tutto l'iter processuale. Soltanto una scintilla, quindi, un barlume di assurdità illogica entra prepotentemente nella vita di K, per poi dare origine ad una angosciosa necessità che incomberà con composta minacciosità sul protagonista. E' evidente quanto perversa sia la logica che governa il gioco, ma, nonostante il suo essere intrinsecamente malato fin nel profondo, rimane pur sempre ragionevole e coerente con le cause, proponendo così situazioni, in un certo qual modo, ad una analisi poco approfondita forse, verosimili e possibilmente reali. Ma bisogna considerare un tema fondamentale nella poetica kafkiana, un tema ricorrente in tutte le sue opere, in effetti, da cui non è possibile prescindere in una breve recensione come questa, benché quest'ultima non punti assolutamente alla completezza e all'approfondimento interpretativo che potrebbe scaturire da uno studio più attento: è il tema del magico, dell'irreale che prende le vesti della realtà per approdare al livello di “grottesco quotidiano”.
E' bene ricordare, difatti, come Kafka riesca, nelle architetture letterarie tanto leggere quanto opprimenti e angoscianti per il lettore, che è condannato ad immedesimarsi nella figura del vinto, dello sconfitto, a creare un contesto irreale, arredandolo poi di elementi di quotidiana realtà. Se ci si pensa, infatti, una situazione come quella in cui viene catapultato K è, per l'appunto, kafkiana – mai aggettivo fu più appropriato – e decisamente irreale. D'altra parte, tuttavia, sotto un certo punto di vista, il processo segue “fasi ordinarie” e legittimamente reali. Kafka, dunque, non si avvale dell'aiuto del soprannaturale, del “metafisico” per rendere irreale il reale, bensì, grazie al suo genio artistico, riesce a comporre una metamorfosi muta e invisibile, una processo di corruzione e di alterazione degli strati della realtà, sovrapponendoli, scambiandoli, mischiandoli in infinite possibilità narrative, dando così alla luce, in questo pirotecnico gioco di camuffamenti, una creatura nuova e meravigliosa, dalle forme mostruose ma dall'essenza tutt'altro che impossibile. La realtà nella sua banalità quotidiana si tinge di tinte fosche ma queste pennellate fugaci sembrano essere scevre da ogni qualsiasi possibilità di legame con lo sfondo su cui sono state applicate. Sfugge, insomma, dal controllo razionale senza però poter essere definita irragionevole e in alcun modo inesistente, perché conserva memoria della sua discendenza terrena.
Ora, in un romanzo come questo, pregno di significati, di possibile e discordanti interpretazioni, qui verranno esposte due, che al parere dell'autore di questo articolo sembrano essere quelle più convincenti (interpretazione politica) o maggiormente affascinanti, seppur nelle loro difficoltà (interpretazione religiosa):
  • Interpretazione politica: è la condanna di uno Stato burocratico opprimente, confuso e alienante. La figura dell'uomo viene disumanizzata e considerata alla stregua di una pratica giudiziaria o di una sigla (il cognome di Josef non si conosce se non per la sua iniziale -K.-). Nelle sue infinite strutture e sovrastrutture slegate quasi tra loro, come è testimonianza il fatto che neppure gli impiegati di basso e medio rango conoscano i vertici di questa organizzazione giudiziaria, in fin dei conti, sempre avvolta nel mistero e nella segretezza più assoluta, si annidano parassiti, funzionari corruttibili e corrotti, personaggi infimi e di bassa levatura morale. La macchina diabolica che diventa la burocrazia statale, in tutte le sue infinite e disarticolate articolazioni, distrugge, schiaccia il singolo, l'individuo che è incatenato ad una serie di eventi inumani e totalmente alienanti. Una simile struttura, portata alle estreme conseguenze, naturalmente, può essere riconosciuta nella burocrazia austriaca del tempo, troppo complessa, inefficiente e pericolosa.
  • Interpretazione religiosa: è la figura dell'uomo nel suo processo di espiazione di una colpa originaria all'ombra vaga ed evanescente del tacito e severo rimprovero di Dio. Ovviamente, se si accetta tale versione, ne deriva un forte pessimismo esistenziale, dal momento che il finale (l'uccisione di Josef per mano di due sicari del tribunale) presupporrebbe una visione in cui l'uomo viene condannato al ruolo di sconfitto eterno, nella cui incapacità di risolvere il tentativo nel successo si nasconde la sua essenza bestiale (morirà “come un cane” Josef K) indissolubilmente legata alla dannazione eterna e impossibile da sfuggire.
Al di là di ogni possibile tentativo interpretativo di un'opera così complessa e affascinante ad un tempo, rimane un'unica certezza: attraverso uno stile asciutto, preciso quasi come i documenti, gli atti processuali e grazie ad esso, prende vita una storia spirante sofferenza e angoscia. F. Kafka è capace di scaricare sul lettore tutta la tensione di Josef, avvincendolo in una morsa conturbante ed opprimente: in effetti, il protagonista, per certi versi, è diviso tra due mondi, quello della banca, regno dell'ordine e della chiarezza, dal suo punto di vista, e quello del tribunale, oscuro e confuso. Ma c'è un qualcosa che lo porta sempre a pensare al tribunale, a quel luogo infernale, quando egli si trova in banca, mentre anela uscire, sfuggire appena entra nel posto delle sue sventure (il tribunale). In questo rapporto malato di “amore e odio” si consumano gli ultimi tempi della vita di Josef, fino alla sua morte disumana che si svolge in un crescere drammatico, carico di un patetismo tragico che si riversa irruentemente, come sempre, sul lettore.

Commenti

Post popolari in questo blog

Il cavaliere inesistente [Commento]

Arazzo di Bayeux   Sotto le rosse mura di Parigi era schierato l'esercito di Francia. Carlomagno doveva passare in rivista i paladini. Già da più di tre ore erano li; faceva caldo; era un pomeriggio di prima estate, un po' coperto, nuvoloso; nelle armature si bolliva come in pentole tenute a fuoco lento. Non è detto che qualcuno in quell'immobile fila di cavalieri già non avesse perso i sensi o non si fosse assopito, ma l'armatura li reggeva impettiti in sella tutti a un modo. D'un tratto, tre squilli di tromba: le piume dei cimieri sussultarono nell'aria ferma come a uno sbuffo di vento, e tacque subito quella specie di mugghio marino che s'era sentito fin qui, ed era, si vede, un russare di guerrieri incupito dalle gole metalliche degli elmi. Finalmente ecco, lo scorsero che avanzava laggiù in fondo, Carlomagno, su un cavallo che pareva più grande del naturale, con la barba sul petto, le mani sul pomo della sella. Regna e guerreggia, guerr

Il cavaliere inesistente [Trama]

Combattimento di due cavalieri - E. Delacroix  Agilulfo, il cavaliere inesistente, combatte per l'imperatore Carlomagno nella guerra contro i Mori. La storia inizia con l'arrivo al campo del giovane Rambaldo, desideroso di vendicare lo zio ucciso e di acquistare gloria personale, diventando come uno dei tanto ammirati paladini. 

I Dialoghi con Leucò

Venere e Adone - A. Canova Patroclo : Prenderò i tuoi schinieri e il tuo scudo. Sarai tu nel mio braccio. Nulla potrà sfiorarmi. Mi parrà di giocare. Achille : Sei davvero il bambino che beve. Patroclo : Quando correvi col centauro, Achille, non pensavi ai ricordi. E non eri più immortale che stanotte. Achille : Solamente gli dèi sanno il destino e vivono. Ma tu giochi col destino. Patroclo : Bevi ancora con me. Poi domani, magari nell’Ade, diremo anche questa. In questo mondo crudelmente diverso da “quella terra che gli dei visitarono” sembrava che lo spazio del mito si fosse così ristretto per poi dissolversi nei ricordi antichi di una civiltà lontana. E invece no. Il mito nella sua forma più pura, più elevata torna a vivere attraverso la penna di C. Pavese. I Dialoghi con Leucò sono una raccolta di racconti, di dialoghi, per la precisione (come suggerisce, d'altra parte, il titolo stesso) tra due personaggi evocati dalle leggende, dalla mitologia greca.