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Il cavaliere inesistente [Commento]

Arazzo di Bayeux

 Sotto le rosse mura di Parigi era schierato l'esercito di Francia. Carlomagno doveva passare in rivista i paladini. Già da più di tre ore erano li; faceva caldo; era un pomeriggio di prima estate, un po' coperto, nuvoloso; nelle armature si bolliva come in pentole tenute a fuoco lento. Non è detto che qualcuno in quell'immobile fila di cavalieri già non avesse perso i sensi o non si fosse assopito, ma l'armatura li reggeva impettiti in sella tutti a un modo. D'un tratto, tre squilli di tromba: le piume dei cimieri sussultarono nell'aria ferma come a uno sbuffo di vento, e tacque subito quella specie di mugghio marino che s'era sentito fin qui, ed era, si vede, un russare di guerrieri incupito dalle gole metalliche degli elmi. Finalmente ecco, lo scorsero che avanzava laggiù in fondo, Carlomagno, su un cavallo che pareva più grande del naturale, con la barba sul petto, le mani sul pomo della sella. Regna e guerreggia, guerreggia e regna, dài e dài, pareva un po' invecchiato, dall'ultima volta che l'avevano visto quei guerrieri.


[Per chi non fosse a conoscenza della trama consiglio, per una maggiore comprensione, la lettura della sintesi qui, oltre, naturalmente, alla lettura del testo integrale]

Il cavaliere inesistente presenta tre livelli di lettura:
  1. Un semplice romanzo in cui le gesta di un cavaliere particolare, narrate in chiave ironica
  2. Una ripresa delle tematiche ariostesche; l'etica cavalleresca contestualizzata in un romanzo epico-parodistico. L'ironia è molto più accentuata, più violenta ed irruente di quella più sottile dell'Ariosto. Suole sfociare in pura comicità.
  3. Un profondo e tragico dramma esistenziale.
Tralasciando i più scontati primi due piani di lettura, mi soffermerò sul terzo.
Il vero protagonista non è il semplice cavaliere, o il grottesco Gurdulù o ancora l'inesperto Rambaldo. E' l'uomo nelle sue sfaccettature e nel sue relazionarsi con il proprio io, con la propria esistenza. Ognuno dei personaggi ha valenza simbolica, rappresentativa di ogni categoria umana. In particolare modo analizziamo i tre personaggi chiave:
  • Agilulfo: il cavaliere inesistente, che sa di esserci ma non esiste, antitesi e complemento di Gurdulù che esiste ma non sa di esistere. Rappresenta la vita votata ad una esasperata contemplazione teoretica del reale, ad un tentativo di racchiudere il mondo in una prigione razionale, entro schemi codificati e universalmente accettati, ad una tensione verso l'etica del dovere per il dovere, ovvero l'adempimento di compiti dettati (nel caso specifico) dal codice cavalleresco (il rispetto massimo per l'imperatore e per i suoi ordini), perché è dovere e solo dovere. Vi è quindi un intrinseco tentativo di nichilismo nei confronti della fantasia umana, totalmente a-razionale, e un furioso rifiuto verso le sensazioni provenienti dal mondo sensibile. Ma tale aspetto, questo rifiuto, rende maggiormente complessa la figura cavalleresca di Agilulfo, in cui si scatena un dramma interiore, un conflitto esistenziale tra quello che è e quello che vorrebbe essere ma non può per la triste necessità che la natura ha voluto per lui. E' un rigetto condizionato, non volontario in principio, in seguito sostenuto da una volontà dettata dall'amor proprio, espressione quindi di un disprezzo per i comportamenti dei cavalieri e di quelli come Gurdulù, che si lasciano trasportare dall'illusorietà e dalla vanità del mondo sensuale. E' l'esaltazione quindi del pensiero della vita e conseguentemente la negazione della vita stessa, del vivere appieno, stimolati anche dalle sensazioni fisiche. Sono la coscienza e la volontà che danno vita ad una non-esistenza.
  • Gurdulù: lo scemo del villaggio, in fondo solo l'iperbole di tutti gli altri personaggi del romanzo (tranne Agilulfo e Rambaldo). E' l'antitesi del cavaliere inesistente. E' colui che è ma non sa di essere. Il suo è un lasciarsi trasportare dal mare del sensibile, un affogarvici dentro, non riconoscendo più la propria esistenza e la differenza tra le sensazioni. Il suo però non è vivere, esattamente come non lo è quello di Agilulfo: è un semplice trascorrere la vita, nella caotica confusione di un mondo fisico selvaggio, impetuoso che necessariamente travolge l'individuo. Nel suo semplice cuore non si consuma un dramma paragonabile a quello di Agilulfo: l'involontaria capacità di lasciarsi trasportare dalle percezioni fisiche implicano una radicale incapacità di chiarire la propria esistenza alla luce di principi razionali e morali universali (benché provi, in forma assai minore naturalmente, emozioni come il dolore, nel momento in cui Agilulfo scompare). Insomma è il trionfo del miope edonismo, incapace di vedere al di là del mero piacere fisico. Simili sono i Curvaldi, che, prima di reagire agli oppressori, non sapevano nemmeno di esistere.
  • I Cavalieri del Santo Graal: l'esistenza come abbandono dei limiti del fisico e accettazione completa del metafisico. La vita come esperienza mistica, in un perpetuo stato di estasi. E' diversa dall'esistenza-inesistenza di Agilulfo: se il primo infatti accoglie il finito e desidera elevarlo ad uno stato superiore, i secondi compiono delle esistenze in nome di una perenne tensione verso il trascendentale, con conseguente distacco totale dal fisico e dal razionle.
  • Rambaldo: l'uomo in tutta la sua insicurezza, in tutta la sua debolezza, in tutta la sua inesperienza. Ma allo stesso tempo il prototipo dell'uomo ideale e del suo percorso verso la perfetta esistenza. Ammira la razionalità, la capacità contemplativa, molto più profonda, e il senso del dovere per il dovere (Agilulfo), rimanendo però, talune volte, perplesso di fronte ad una vita, per adesso, troppo differente dalla sua. La meta del suo percorso verrà pienamente raggiunta alla fine del libro, diventato così Raimondo l'archetipo dell'uomo ideale: il più perfetto sincretismo tra una vita trascorsa all'ombra dei principi di ragione e di etica e un'esistenza che accoglie benevolmente tutto ciò che il mondo sensibile ha da offrire, attraverso i piaceri sensibili. La massima espressione quindi di una armoniosa fusione tra il pensiero di vita e la vita stessa. L'aver ricevuto in dono l'armatura gli conferisce una qualità in più rispetto ad Agilulfo: l'esistenza stessa, tanto agognata dal cavaliere, tanto disprezzata.
E' quindi l'uomo con la sua esistenza il vero protagonista della storia, in tutte le sue contraddizioni, in tutte le sue manchevolezze.
Da notare come l'autore condanni sia l'uno che l'altro estremo, elogiandone anche le virtù: se i modi di Agilulfo paiono insensati o inutili, vengono in seguito nobilitati per la loro capacità di aprire gli occhi su una vita più profonda anche a coloro che fanno dei piaceri i loro vessilli. E Gurdulù viene definito pazzo, totalmente matto, ma la nota di tenerezza che traspare nel descriverlo indica anche la mirabile semplicità della vita del comico scudiero.
Ma c'è un'unica àncora di salvezza per l'uomo: in questo errare come un viandante per terre lontane, in questo oscillare tra esistenza e inesistenza, in questo consumarsi nel dubbio amletico dell'essere o il non-essere, Rambaldo ha una certezza: l'amore esiste; le donne sono gli unici personaggi la cui esistenza non è mai messa in dubbio. L'amore, questa immensa e straordinaria forza che abbraccia il vivere umano, in tutte le sue forme: l'amore come guerra (Bradamante), ricerca del diverso, del complementare; l'amore come pace (Sofronia), anelito del sonno esistenziale, dimora da cui ogni pellegrino parte e meta di ogni viaggio.

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