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I Dialoghi con Leucò

Venere e Adone - A. Canova

Patroclo: Prenderò i tuoi schinieri e il tuo scudo. Sarai tu nel mio braccio.
Nulla potrà sfiorarmi. Mi parrà di giocare.
Achille: Sei davvero il bambino che beve.
Patroclo: Quando correvi col centauro, Achille, non pensavi ai ricordi.
E non eri più immortale che stanotte.
Achille: Solamente gli dèi sanno il destino e vivono. Ma tu giochi col destino.
Patroclo: Bevi ancora con me. Poi domani, magari nell’Ade, diremo anche questa.

In questo mondo crudelmente diverso da “quella terra che gli dei visitarono” sembrava che lo spazio del mito si fosse così ristretto per poi dissolversi nei ricordi antichi di una civiltà lontana. E invece no. Il mito nella sua forma più pura, più elevata torna a vivere attraverso la penna di C. Pavese. I Dialoghi con Leucò sono una raccolta di racconti, di dialoghi, per la precisione (come suggerisce, d'altra parte, il titolo stesso) tra due personaggi evocati dalle leggende, dalla mitologia greca. 


Pavese è il cantore che riesce a dare una nuova vitalità a quella materia che appariva ormai morta; è il poeta che, come Orfeo con Euridice, con il suo canto ha tentato di far rinascere dalle ceneri un mondo magico e incantato, talvolta implacabilmente crudele e demoniaco di cui era intessuto il mondo greco antico. 
E in questa eterna lotta in cui tenacemente si affrontano, si danno battaglia attraverso lo stile leggiadro di stampo epico-classico il dionisiaco e l'apollineo, il mito acquisisce una valenza ancora superiore, trascende la stessa realtà fantastica in cui conquistano la vita Achille e Ulisse, i Centauri e i possenti Titani, per approdare ad un livello ermeneutico decisamente più alto. In quest'ottica il mito inizia a configurarsi non solo come l'archetipo ideale dell'agire umano ma anche (e forse soprattutto!) come il paradigma dell'esistenza umana stessa, addentrandosi nei meandri della psiche di ogni uomo, nei suoi pensieri più profondi e nel suo processo di crescita e di maturazione. Sotto la luce della psicanalisi, il mito diventa autorevole spiegazione dei maggiori dilemmi che, fin dall'eternità, tormentano l'animo umano: ed è questa la loro vera essenza. La funzione etico-pedagogica del mito antico viene superata da una visione dell'insieme delle contraddizioni umane, delle inquietudini, dei desideri e delle passioni. 
Ecco che si avverte, dunque, un senso di precarietà e di necessità. Un destino doloroso e necessario si abbatte sui mortali: il mondo è cambiato e sorti sono gli dei. L'ombra del fato incombe minacciosa sulle misere esistenze degli uomini che annaspano tra affanni e disperazioni per la salvezza. Non mancano naturalmente gli esempi più sereni con esito felice, ma generalmente l'uomo è il vinto, lo sconfitto da forze superiori e incontrollabili. 
Naturalmente una comprensione completa dell'intero significato dell'opera presupporrebbe conoscenze sufficientemente adeguate in campo letterario (non si dimentichi che è, in primis, un ottimo libro tecnicamente parlando, valido sotto tutti gli aspetti) e psicanalitico (l'interpretazione dei miti è intimamente legata con tale disciplina). Al di là di tutto però si comprendono alcune questioni fondamentali: gli dei “nomoteti” non sono entità al di fuori dell'uomo, ma esistenti in virtù dell'essere dell'uomo (le forze dell'inconscio) poiché come più volte viene detto, precedentemente alla comparsa dell'uomo stesso, gli dei erano natura e la natura era divinità tutta: le inquietudini e le paure che ora attanagliano i comuni mortali non erano conosciuti dai laghi, dalle foreste e dalle polle di montagna. Ma queste forze costituiscono una barriera insormontabile per l'uomo, invincibile proprio per la loro intrinseca potenza devastante e la loro inconoscibilità. Al tempo stesso tempo ogni individuo si vede chiuso in una antinomia insuperabile: tra la razionalità e gli impulsi più bestiali, in una tensione continua e incatenata alle sorti decise dal fato. Ma sopra ogni cosa vigila severa la morte, la sorte ineluttabile che sancisce il termine di ogni fuggevole esistenza umana. E sotto questo aspetto non si può che percepire il tono elegiaco di cui sono pervasi tutti questi mitici dialoghi, in cui i gesti, le parole ora malinconiche, ora accese di giovanile irruenza, di eroi e di dei, di mostri e di creature meravigliose, perdendosi nella marmorea ed eterna luce del mito, diventano, da ricordi di un sapere antico quali essi sono, un tutt'uno con il sapere dei moderni in una sintesi perfetta e sublime.

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